Si sente spesso parlare – talvolta anche a sproposito – di chilometro zero. Ma di cosa si tratta esattamente?
Il chilometro zero non è semplicemente una filosofia alimentare. Non è neppure una sorta di certificazione ideologica che ci assicura che stiamo mangiando bene – anche se la filiera corta può rassicurarci su moltissimi argomenti, quali l’utilizzo di diserbanti per le coltivazioni e conoscere cosa abbiano mangiato gli animali d’allevamento prima di finire nel nostro piatto o prima di darci il latte che si trasforma poi in formaggio.
Il chilometro zero è qualcosa che ha a che fare con noi, con quello che siamo e quello che mangiamo, con le nostre radici, con le nostre tradizioni.
Nell’immagine, si può vedere, per esempio, uno dei piatti del mio menu. Si tratta di gnocchi di patate rosse, piennolo e porcini con crema di pomodorini gialli. I piennolo sono quelli locali, quelli campani – i pomodori da pendola esistono in tutte le regioni del Meridione, con nomi lievemente differenti, secondo le usanze dialettali – così come lo sono i porcini, che ho raccolto con le mie mani.
Sì, sicuramente c’è più tranquillità da parte mia nel riconoscere la bontà di un prodotto, ma c’è anche di più: c’è un mio riappropriarmi di un legame con la terra, con il territorio, che ogni giorno condivido con chi sceglie il ristorante La Rambla. È questo per me il chilometro zero.